L’artista-Vate e l’ultimo operato.
Secondo il mito greco, Narciso era un bel giovane di Tespi di cui si innamorò la ninfa Eco. Eco era stata privata della parola da Era, la moglie di Zeus, e poteva soltanto ripetere le ultime sillabe delle parole altrui. Incapace di esprimere il suo amore, Eco venne respinta da Narciso e morì di crepacuore. Gli dei punirono allora Narciso per la durezza con cui aveva trattato Eco facendolo innamorare della propria immagine. L’indovino Tiresia aveva predetto che Narciso avrebbe cessato di vivere nel momento in cui si fosse visto. Un giorno, chinandosi sopra le limpide acque di una fonte, colse la sua immagine riflessa nell’acqua. Narciso si innamorò appassionatamente di quell’immagine e non volle più abbandonare il luogo. Morì così di languore e si trasformò in un narciso, il fiore che cresce ai bordi delle fonti.
Il narcisista è una persona che si preoccupa solo di sé stessa, escludendo tutti gli altri. Egli diviene il proprio mondo e crede di essere lui il mondo intero.
I narcisisti presentano varie combinazioni di intensa ambizione, fantasie grandiose, sentimenti di inferiorità ed eccessiva dipendenza dell’ammirazione e dell’approvazione altrui. Sono anche tipici l’incertezza cronica e l’insoddisfazione di sé stessi; la crudeltà e lo sfruttamento, conscio o no, nei confronti degli altri. I narcisisti sono assorbiti dalla propria immagine, non sono in grado di distinguere tra l’immagine di chi credono di essere e l’immagine di chi sono effettivamente; il narcisista si identifica con l’immagine idealizzata, l’immagine di sé è così perduta. La differenza tra sé e la sua immagine si potrebbe paragonare a quella tra una persona e il suo riflesso nello specchio; si comprende allora perché, l’artista, di per sé narciso vede nel suo operato la sua immagine. Ciò che succede nel corpo influenza pensiero e comportamento quanto ciò che succede nella psiche: possiamo affermare quindi con un certo grado di certezza che, al volgere della fine della propria vita l’artista crea opere tragicamente evolute, quasi riuscisse a cogliere l’essenza di tutto ciò che è stata la sua vita ed il suo operare con una sorta di realismo magico ed evoluto, una sorta di visione, certamente personale, ma assolutamente perturbante, in quanto tratta l’abbacinante realtà: la morte.
Il senso di sé dipende dalla percezione della vita del corpo. La percezione è una funzione della mente e crea immagini. I narcisisti non negano di avere un corpo, considerano però il corpo come uno strumento della mente, soggetto alla loro volontà. Anche se il corpo può essere uno strumento efficiente, funzionale come una macchina o colpire per l’aspetto statuario manca però di “vita”. Ed è precisamente dal senso del proprio essere vivi che nasce l’esperienza del sé. Il cortocircuito del narcisista sta proprio nella negazione dei sentimenti, egli è una persona la cui condotta non è motivata dai sentimenti. Bisogna osservare il narcisismo come un’organizzazione in termini di immagine e non di emozione. L’antitesi tra l’io, che è un’organizzazione mentale, e il sé, che è un’entità corporea e sensibile, esiste in tutti gli adulti, o, almeno, in chiunque abbia sviluppato una certa consapevolezza, che deriva dalla capacità di formarsi un’immagine di sé; siccome questa è una funzione dell’io, il narcisismo deve essere considerato un disturbo dello sviluppo dell’io.
Il narcisismo dell’artista è evidente nella tendenza a essere seduttivi e a misurare il proprio valore in base alla capacità di attrarre, con l’ostentazione di una grande sicurezza di sé, di un senso di superiorità e di una dignità esagerata. Gli artisti non sono solo un po’ meglio degli altri, sono i migliori! Essi sono fuori posto nel mondo dei sentimenti e non sanno come rapportarsi alle altre persone in maniera reale, umana. Gli artisti divengono la loro opera, che è l’immagine in cui Narciso si specchiava e vi morì; allo stesso modo l’opera diviene la superiorità che distingue l’artista dalla massa; vi è infatti nella psiche umana, una lunga durata di certi comportamenti dovuti anche alla sorprendente stabilità delle attese di un pubblico incerto a varcare le frontiere tra arte e magia, che è il topos dell’artista.
La reazione della società all’artista è condizionata dal talento e dalle caratteristiche personali di quest’ultimo, narcisista per l’appunto, questa reazione influenza l’artista stesso. L’intuizione di un valore autonomo dell’arte in quanto dimensione indipendente del lavoro creativo, l’arte per l’arte, esplicita un desiderio di conoscere la persona dell’artista. Si potrebbe parlare, senza esagerazioni, di una “vita segreta dell’eroe”.
L’artista-vate può essere considerato, dal greco anekdoton “inedito”, colui che vede e, in qualche modo, prevede, ciò che sarà, la sua lungimiranza viene considerata una sorta di magia, nonostante la laica contemporaneità. Vi è un legame indissolubile tra pensiero moderno e pensiero mito poetico.
Tema centrale in tutti i dibattiti tra arte e artista, un’urgenza dell’artista di dare espressione al proprio talento creativo e del potere di attrarre magneticamente l’attenzione degli altri.
Goethe- Il potere creativo della mente forma il finito dell’indefinito.
Luca Signorelli è, al di là di ogni ragionevole dubbio il grande maestro del nostro artista Lorenzo Chinnici, egli visse tra il primo ed il secondo rinascimento italiano e come tale non chiede alle sue opere un ritratto autonomo bensì, un posto nelle “storie” che, sotto forma di affresco, e penso alla magnificenza del Duomo d’Orvieto, che con la sua immagine entra a far parte del monumento e questa consapevolezza mira ad essere ammirata. Il tema apocalittico, degli affreschi rinascimentali, come quello degli ultimi giorni umani, appare difficile da spiegare se non in diretta connessione con il turbamento delle coscienze causato, oltre che da oroscopi e presagi catastrofici, che andavano moltiplicandosi, qui e allora, anche a causa dell’approssimarsi della seconda metà del secondo millennio, dagli eventi fiorentini per i quali il Savonarola ne era l’esempio più illuminante. I corpi ignudi del Signorelli vengono esaltati con l’energia che prelude l’epica celebrazione che, la malattia del nostro artista porterà alla magnificenza dei nudi ritratti in ultimo periodo michelangiolesco. Cioè, Lorenzo Chinnici parte dalla purezza e leggiadria delle anatomie del Signorelli, per arrivare in epoca di semi-cecità, all’esasperazione michelangiolesca delle anatomie, anch’esse angosciose per problematiche filosofico-religiose del grande maestro, angosce che quest’ultimo rivelava solo alla grande confidente Vittoria Colonna. Il significato di primo piano del nudo è, totalmente a favore della bellezza classica, ma sempre attenta al non-classico, possibilmente ripresi anche nella contemporaneità. L’esasperazione dei corpi dei pescatori e di altri lavoranti, possono essere riconducibili all’ inderogabile canone estetico vitruviano, riscoperto appunto nel Rinascimento italiano. Le figure nude di una Madonna del Signorelli agli Uffizi, sono servite da modello a Michelangelo. È il nucleo quindi, sospinto dalla consapevolezza del “passaggio del testimone” a gravitare intorno ad un nucleo mitico e archetipico. Lo scopo è di mettere a fuoco una particolare situazione storica caratterizzata dall’insorgere della consapevolezza di come l’agire dell’artista sia in parte sottratto al dominio della coscienza e di mettere a fuoco quindi il punto in cui quella consapevolezza incide sul mutamento della visione, sulla trasformazione stilistica che caratterizza quel momento di passaggio dalle arti figurative alla cecità, o comunque, dalla consapevolezza dell’arte. Il ritorno all’ordine è caratterizzato da una grande misura e dal rifiuto delle inclinazioni naturali, dell’utile e della ricerca dell’effetto. Questa sobrietà era motivata dall’intenzione di lasciar cadere valori, raggiungere la disciplina, la chiarezza e la grandezza.
Per Lorenzo Chinnici l’arte è antropometrica, l’uomo è al di là di ogni misura; è monumentale, c’è in essa l’aspirazione alla magnificenza ed a ridurre al minimo l’elemento ornamentale; ma soprattutto consapevole della propria grandezza, solenne e gioiosa.
Nel momento in cui la malattia, o comunque l’avanzare della senilità, perviene nell’operato dell’artista, la definizione di fantastico e visionario rivela maggiormente la sua genericità se non la si riporta decisamente alla consapevolezza dell’inconscio, cioè di quel sovvertimento di valori, di quel rivoluzionario capovolgimento degli obbiettivi dell’atteggiamento psicologico: il concetto di cultura allo stesso piano della vita, ove congiunti, arte ed istinti, comprendono il processo tracciato dell’io senza un solido appoggio di volontà senza meta fissa. Per l’artista le idee assumono significato di vita; che gli inglesi chiamavano “le eterni nevi del pensiero”.
F.Passini